Dal 6 agosto 2020, in esecuzione della sentenza della Corte Costituzionale, i richiedenti asilo possono di nuovo iscriversi all’anagrafe e quindi ottenere residenza e carta di identità. Carla Bezzini, assessore alle Politiche sociali, fa il punto sui numeri e le modalità.
“Nel periodo precedente agosto 2020 – spiega l’assessore Bezzini –, compreso tra l’approvazione del “decreto Salvini” e la sua cancellazione, nessuna domanda di iscrizione anagrafica era stata presentata al Comune. A prescindere da ciò, occorre precisare che la mancata iscrizione anagrafica comunque non precludeva l’accesso ai servizi erogati sul territorio, sia quelli erogati dalla pubblica amministrazione (istruzione e servizi educativi), sia quelli di pertinenza dei soggetti privati (banche, assicurazioni, agenzie immobiliari), sia alle misure di welfare locale. Nello specifico, anche l’accesso al Sistema sanitario nazionale era comunque garantito sulla base del domicilio, pur in assenza della residenza anagrafica. È necessario precisare che vengono individuati come “richiedenti asilo” solo gli ospiti del centro di accoglienza “La Caravella”: gli altri risultano cittadini extracomunitari che rientrano nella ordinaria gestione anagrafica di un Comune.
Attualmente, i periodi di permanenza nei Centri di Accoglienza sono molto lunghi (gli ultimi usciti sono stati ospiti per oltre 5 anni), così come i tempi per il rilascio della documentazione da parte delle autorità competenti. Oggi la Prefettura non rendiconta più i movimenti in entrata e in uscita dai Centri e si limita a comunicare al Comune solo i soggetti valutati come “vulnerabili” che in quanto tali devono essere presi in carico, e accade puntualmente, congiuntamente alla Società della salute. Corre l’obbligo di una precisazione: dai centri di accoglienza sono “espulsi” solo gli ospiti che, per vari motivi, vengono allontanati coattivamente dall’autorità giudiziaria e dagli organi del Ministero: questi soggetti non rientrano in nessuna competenza comunale. In merito alla gestione dei Centri di accoglienza, dobbiamo ricordare anche che queste strutture non sono gestite dai Comuni ma da soggetti privati che intrattengono rapporti di tipo contrattuale con le Prefetture: non è prevista alcuna titolarità del sindaco, se non per funzioni di tipo socio-sanitario cui ogni residente ha diritto, intendendo per residenza “il luogo in cui la persona ha dimora”, quindi tutti gli ospiti.
Il caso del contagio covid è stato gestito dalla SdS e dalla Asl secondo i protocolli applicati a tutti gli altri cittadini e si è, al pari degli altri, positivamente risolto.
Nel mese di gennaio hanno ottenuto il permesso di soggiorno 21 dei 135 ospiti e il Comune, in collaborazione con la SdS, ha trovato a ciascuno di loro, al termine di un lavoro impegnativo e complesso, una collocazione dignitosa e sicura: alcuni di loro sono rimasti nel nostro territorio e il servizio sociale del Comune provvederà a garantire loro l’alloggio e il sostentamento.
In merito al tavolo per l’immigrazione, è al momento allo studio la sua possibile declinazione: se deve intendersi come strumento di analisi e monitoraggio territoriale, esiste già ed è il Consiglio territoriale per l’immigrazione partecipato dai Comuni e dagli enti del Terzo Settore, gestito dalla Prefettura territorialmente competente e presieduto dal Prefetto, dal quale non sono giunte nell’ultimo anno convocazioni. Se invece deve intendersi altro, è necessario definirne la composizione, le funzioni e il rapporto con il Tavolo esistente.
Passando a considerazioni più spiccatamente politiche, ricordo che nella nostra città non si rilevano episodi di razzismo o di discriminazione su base etnica e che ad ogni residente sul territorio comunale sono riconosciute pari dignità e pari diritti. I cittadini stranieri regolarmente iscritti alla nostra anagrafe usufruiscono del diritto all’alloggio e di ogni tipo di sussidio che questa amministrazione mette a disposizione della popolazione più debole, senza distinzione alcuna né di etnia né di provenienza geografica, nel pieno rispetto dell’art. 3 della Costituzione”.