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Il Camping CIG era presente con il proprio striscione sotto il Mise il 9 luglio. In seguito, abbiamo approfondito gli esiti di quell’incontro: il giudizio è negativo. L’azienda continua a dettare l’agenda, a cui il governo si adegua passivamente. In pratica, l’uno crea l’alibi all’altro per tirare a campare senza fare nulla di concreto e verificabile. Infatti, dopo più di 4 mesi dal precedente incontro, JSW non assume alcun impegno preciso e verificabile sul primo forno elettrico; né sugli smantellamenti; né sulla tempra, secondo alcuni poco utile senza ammodernamento del treno. Si tira avanti senza prospettive definite, nel silenzio accomodante delle stesse organizzazioni sindacali rappresentate nell’incontro del 9: nessuna iniziativa di mobilitazione.
Intanto, lo stabilimento perde milioni ogni mese, mentre si tenta di tornare ad assurde produzioni di 30 anni fa, come gli acciai al piombo. In fabbrica si sta instaurando un clima intimidatorio e a ottobre-novembre scadrà la CIG. Non è più il tempo dei rinvii: azienda e governo devono dire la verità e dirla subito. Incominciamo a dirla noi. I fatti dimostrano che JSW non ha alcuna intenzione di realizzare il piano annunciato da Jindal a suo tempo e può contare sul silenzio complice delle istituzioni, proprio come ai tempi di Rebrab. In forza di quel piano, Jindal ha acquisito lo stabilimento di Piombino. In base ad esso, si dovrebbero installare 3 forni elettrici, 2 nuovi treni di laminazione,per un totale di oltre un miliardo di investimenti, mantenendo in marcia i 3 treni esistenti; entro il 2024, 1550 lavoratori dovrebbero tornare al lavoro. Niente di tutto questo si vede neppure con il cannocchiale. Quel piano non esiste più, non verrà mai realizzato: prima lo si ammette, prima possiamo correre ai ripari, senza alimentare nuove narrazioni felici che perpetuano invece l’agonia senza fine della fabbrica, dei lavoratori e del territorio.
Ammettere questa verità vuol dire riconoscere che siamo all’emergenza e approntare un piano B per l’Area di Crisi Complessa di Piombino, il quale preveda:
1. con o senza Jindal, la scelta strategica della siderurgia come produzione e lavorazione di acciaio pulito di alta qualità, lontano dall’abitato, senza cedere alle tentazioni antindustriali (e antioperaie) che pure serpeggiano: a differenza del passato e del presente, decisivo dev’essere il ruolo del pubblico, cioè del Governo, per investire risorse eccezionali e mettere nel conto procedure eccezionali, inclusa la nazionalizzazione, per attuare quella scelta strategica di politica industriale di respiro nazionale e internazionale
2. la verità vera sui numeri, a cominciare da quelli forniti sugli occupati attuali, il cui totale, secondo qualche sindacalista, includerebbe furbescamente pure il computo delle ferie di chi è fuori in CIG; nonché sui numeri di quanti saranno davvero reintegrati in fabbrica, senza dimenticare l’indotto, affrontando i prevedibili esuberi da ricollocare in altre attività, tutelandone diritti e salario, senza escludere uscite volontarie, anticipate e incentivate come a Taranto, situazione oggi analoga a Piombino
3. massicci interventi pubblici per far decollare la diversificazione economica: turismo e agricoltura di qualità; commercio, nautica, portualità senza monopoli di Jindal o altri, avendo al centro l’idea che l’ambiente è risorsa decisiva per l’oggi e per le generazioni future; completamento urgente delle infrastrutture come la strada 398 e il porto, rilancio della ferrovia e del traffico marittimo
4. bonifiche del Sito di Interesse Nazionale di Piombino e installazione di attività industriali nuove, le quali non possono essere affatto identificate con un polo di stoccaggio dei rifiuti, come invece sta avvenendo da tempo.
Per rinascere, Piombino deve essere presa in considerazione come emergenza nazionale per l’emergenza sociale, ambientale e produttiva che vive da lunghi anni. Tale emergenza richiede interventi pubblici, non più rinviabili, di portata epocale.